Ego sum lux mundi: qui sequitur me non ambulat in tenebris, sed habebit lumen vite ( “Io sono la luce del mondo: chi segue me non camminerà nelle tenebre ma avrà la luce della vita” Gv 8,12
Giovanni nel suo prologo dice di Cristo che in “ Lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; e la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta. Veniva nel mondo la luce vera quella che illumina ogni uomo…”
La liturgia della veglia di Pasqua, madre di tutte le veglie, ha il suo solenne inizio con la processione del cero pasquale, acceso al fuoco nuovo, che assurge al ruolo di stipes (il palo infitto in terra) della croce, segno della redenzione e del nuovo sole che sorge. È Cristo la vera luce del mondo e chi segue Lui non camminerà nelle tenebre.
Nell’altare della reposizione del Giovedì santo, allestito sul soglio regio della Cappella Palatina, le sette lampade pensili erano segno dei doni dello Spirito Santo, essendo sette numero sacramentale, della compiutezza, della Shabbath, il giorno della “cessazione”, il riposo di Dio dopo il compimento della Creazione, della menoràh, il candelabro a sette bracci di cui Dio prescrive la realizzazione.
Nell’abside della Cappella, in occasione della Paqua 2013 e per tutto il tempo pasquale, sono poste otto lampade pensili seicentesche che, con la loro flebile luce esprimono la gioia della Pasqua, vero passaggio dalle tenebre alla Luce, come Pèsah è passaggio del popolo d’Israele, tratto dalla condizione di schiavitù nel paese d’Egitto, attraverso il mar Rosso.
La lampada, alimentata in antico ad olio, frutto prodotto dell’ulivo, universale emblema della pacificazione tra Dio e l’Umanità e simbolo della unzione sacerdotale di tutto il Popolo cristiano, è conformata a vaso, immagine del grembo virginale di Maria da cui scaturisce la Grazia, Cristo Gesù, pienezza della Luce che non può essere nascosta sotto il moggio (come può porsi una lucerna accesa sotto il vaso per la misura del grano?). La lampada accesa è segno della saggezza delle dieci vergini previdenti che munite dell’olio poterono entrare a nozze con lo Sposo.
Otto è numero escatologico, del compimento dei tempi che si realizza in Cristo e nella sua Chiesa, del primo giorno successivo al Sabato, quello della Resurrezione. È numero delle beatitudini, dell’infinito, della rosa dei venti, simbolo cristologico rappresentativo del dominio di Cristo sugli elementi e sul mondo. Richiama pure la channukka, il candelabro a otto bracci acceso in occasione della Hannukkah, la festa delle luci che celebra la riedificazione del tempio di Gerusalemme. Cristo, che è il vero tempio vivo, preannunciando la Sua resurrezione dai morti dice “distruggete questo tempio ed in tre giorni lo farò risorgere”.
Le otto lampade pendono da un’asse che rappresenta il patibulum, la trave orizzontale a cui venne appeso Cristo crocifisso. Due sono lavorate a foggia di zucca, riferimento al pellegrinaggio del cristiano sulla terra (era borraccia del viandante e del pellegrino) e alla Resurrezione poiché legata al profeta Giona che visse nel ventre del pesce e se ne trasse vivo dopo tre giorni. In origine multiple, in quanto vi erano attaccate ulteriori quattro lampade minori non più esistenti, sono rette da catenelle in numero di quattro, quale indice di umanità, mentre le lampade più piccole ne hanno tre, numero palesemente riferito alla Trinità. Tutte, oggi, ricevono fiamma da ceri in analogia col cèreo pasquale del quale, nell’Exultet (l’annunzio della Pasqua), sono state cantate le lodi.